Giganotosaurus carolinii 1:35 Scenario Set (Vitae, 2017)

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Il “Giganotosaurus carolinii 1:35 Scenario Set” è il primo modello della linea Vitae e il primo tentativo dello scultore Cheung Chung Tat di entrare nel mercato delle figure in PVC, dato che precedentemente le sue uniche sculture disponibili al pubblico erano resine prodotte in quantità limitate. I lavori di questo paleoartista si possono vedere nella sua galleria deviantart o nella sua pagina Facebook e sono comparsi su numerose pubblicazioni.

Alla sua uscita, nel 2017, il modello era disponibile in due versioni: Standard e Limited. La versione Limited aveva una colorazione più elaborata, elementi aggiuntivi nella base ed era accompagnata da una stampa di un’illustrazione numerata di Cheung Chung Tat, raffigurante l’animale. Nella Reissue del 2021 sono disponibili due versioni (Regular e Cheap). Questa recensione riguarda la versione Regular, acquistata nel 2017.

Il modello, realizzato in TPR, è venduto all’interno di una scatola di cartone, che presenta sul lato esterno un’illustrazione in bianco e nero, foto del modello e una breve descrizione dell’animale. La confezione fa il suo dovere per proteggere la figura: nonostante l’abbia ricevuta leggermente ammaccata, il contenuto non presentava alcun danno. Il modello è imballato in foam bianco, e si compone di cinque pezzi: Giganotosaurus stesso, la base, un tronco di PVC e due perni metallici.

Giganotosaurus carolinii (Coria & Salgrado, 1995) è un teropode della metà del Cretaceo (Cenomaniano) dell’Argentina, salito alle luci della ribalta alla sua scoperta in quanto presentato come “più grande di Tyrannosaurus” (in realtà, i due animali sembrano avere una lunghezza simile, mentre Tyrannosaurus era più massiccio). Questa “spettacolarizzazione” ha fatto più male che altro, a Giganotosaurus: furono realizzate subito copie dello scheletro che oggi si possono osservare in vari musei, ma con proporzioni distorte ed esagerate per farlo apparire più imponente. A questo contribuì anche un articolo di National Geographic, che pubblicizzò quella che è diventata la tristemente famosa ricostruzione del cranio: questa versione, purtroppo ancora oggi utilizzata in parecchi modelli – perfino il blasonato Eofauna! – presentava una finestra postorbitale deformata in una maniera che non rassomiglia a quella di nessun Allosauroidae, chiaramente per dare l’impressione che il cranio fosse più lungo. Solo nel 2013 Scott Hartman ha presentato una nuova ricostruzione dell’anatomia di Giganotosaurus, stavolta realizzata sulla base dell’inferenza filogenetica con generi affini come Acrocanthosaurus e Mapusaurus – i cui resti non supportano affatto una finestra postorbitale così deforme – ed è proprio sulla ricostruzione di Hartman che si basa il Giganotosaurus Vitae: come si può vedere da un’immagine diffusa da Cheung Chung Tat del modello digitale non ancora in posa, lo skeletal di Hartman è stato letteralmente ricalcato. Questo è uno dei pochissimi modelli di questo animale a presentare un cranio corretto, e l’unico con il cranio corretto a non presentare altri seri problemi anatomici.

Come dicevo, la testa può apparire strana per chi è abituato alla ricostruzione di Giganotosaurus tradizionale, ma è assai più probabile che il cranio dell’animale avesse questa forma, rispetto a quella deforme e allungata. Due delle caratteristiche che distinguono Giganotosaurus da generi affini come Mapusaurus e Carcharodontosaurus sono la presenza di creste lacrimali (ossia le corna davanti agli occhi molto evidenti, ad esempio, in Allosaurus) e di rugosità lungo le ossa nasali (che corrono lungo la sommità del muso) che probabilmente sostenevano una copertura di cheratina, ed entrambe sono fedelmente riportate nel modello Vitae. Sono presenti le narici e le aperture uditive nella posizione corretta e, quando osservato frontalmente, la visione binoculare è scarsa (vale a dire che gli occhi puntano per lo più lateralmente, così come si vede nel fossile ricostruito). Le squame sul cranio sono molto fini e dubito che sarebbero visibili senza la mano di colore che è stato applicato sopra senza coprire gli interstizi. Sulla parte posteriore della mandibola, che rispetto al fossile è arrotondata per considerare la presenza del muscolo adduttore, ci sono alcune squame più grosse e appuntite. I denti terminano correttamente prima dell’osso lacrimale; sono una delle poche critiche che si possono muovere al modello: nonostante siano in numero appropriato, sulla base di varie ricostruzioni, alcuni appaiono troppo dritti e simili ad aghi. Forse una limitazione del materiale usato? In ogni caso, date le dimensioni, si tratta di un dettaglio abbastanza trascurabile. All’interno della bocca si può osservare la lingua, che è larga e piatta: ciò è basato su studi comparati con coccodrilli e uccelli. Sul palato sono presenti le coane, che mettono in comunicazione il cavo orale con le narici: si tratta di un dettaglio che è spesso ignorato o dimenticato a favore di una bocca cavernosa a cui ci ha abituato Jurassic Park – ma, ancora una volta, in linea con quanto osserviamo in coccodrilli e uccelli. Sono presenti sia le narici sia le aperture uditive, in posizione adeguata.

Dalla nuca partono una fila di spine irregolari che continuano fino alla punta della coda, accompagnate da una doppia fila di piccoli tubercoli (simili a quelli di Carnotaurus) che arrivano fino al bacino. Il collo è opportunamente massiccio e sul lato inferiore è ricco di pieghe e grinze scolpite con estrema cura. Sul corpo sé presente una pelle fittamente incisa, vagamente simile a quella di un pachiderma odierno, alternata a zone di squame più grossolane. La resa è estremamente realistica, se consideriamo che le squame millimetriche che conosciamo nei teropodi, su un animale da una dozzina di metri, sarebbero praticamente invisibili.

Si nota subito che il corpo è estremamente robusto: questa non è una delle ricostruzioni shrinkwrapped di G.S. Paul. Una delle critiche mosse allo skeletal di Hartman è la presenza di uno scapolocoracoide incompleto, che – se ricostruito sulla base di specie affini come Tyrannotitan – risulterebbe più in linea con quello che ci si aspetterebbe da un Allosauroidae. Questo non è un problema del modello Vitae, dato che la massa del busto è tale che quest’osso – che sarebbe visibile in altre ricostruzioni shrinkwrapped – è completamente nascosto dai tessuti molli. Anche il piede pubico, che molte ricostruzioni insistono per far sporgere dall’addome senza una reale ragione (Scipionyx mostra chiaramente il suo ruolo nello sorreggere l’intestino) qui è integrato nella muscolatura dell’animale. La zona della coscia e della coda, un altro tasto dolente di molti modelli – che ignorano la presenza del muscolo caudofemorale, il muscolo più grande nei rettili attuali – è parimenti adeguatamente massiccia: la coda è quasi circolare in sezione! Questo è estremamente appropriato, dato che si tratta dell’area dove i rettili odierni tendono a depositare sostanze di riserva. La presenza del caudofemorale si nota anche nel modo in cui l’arto posteriore continua nella coda, senza stacchi netti. La cloaca è presente, anche se poco visibile (mi è stata indicata da Cheung Chung Tat stesso, che ringrazio). Altro dettaglio è una punta della coda che si presenta stondata, invece di dover proseguire a punta come nella maggior parte delle ricostruzioni: non ho trovato prove scientifiche contro o a favore, ma è in linea con rettili odierni con protuberanze lungo la coda – come i coccodrilli – senza contare che la punta sarebbe una zona piuttosto fragile e propensa a ricevere danni che non avrebbero grandi conseguenze per l’animale (abbiamo adrosauri ed un esemplare di Triceratops con la punta della coda danneggiata). In ogni caso, si tratta di una speculazione interessante.

L’arto anteriore è opportunamente corto: nonostante Giganotosaurus sia spesso rappresentato con zampe degne di Allosaurus, resti parziali dell’arto anteriore dell’affine Tyrannotitan indicano un braccio ridotto quasi quanto quello di Tyrannosaurus. La mano dei carcharodontosauridae derivati è sconosciuta, ma l’inferenza filogenetica suggerisce che fossero presenti tre dita come in Acrocanthosaurus. È possibile verificare la formula della mano, e correttamente questa è due falangi per il primo dito, tre per il secondo, quattro per il terzo. Nello scolpire le statuine spesso viene tralasciato che l’artiglio del primo dito dovrebbe essere più lungo e robusto, ma non è il caso del modello Vitae.

L’arto posteriore è, come riportato parlando della coda, adeguatamente robusto, con la maggior parte della muscolatura concentrata nella parte superiore. Tibia e metatarsali sono forse troppo lunghi, ma in ogni caso si tratterebbe di un errore presente nello skeletal usato come base e non imputabile a Cheung Chung Tat. Lungo i metatarsi e le dita ci sono scuti simili a quelli preservati nell’ottimamente conservato Concavenator e negli uccelli attuali. È difficile contare le falangi dei primo dito, ma il secondo ne presenta tre, il terzo quattro e il quarto cinque, ed è la formula corretta. Anche la lunghezza delle tre dita che toccano terra è appropriata (in ordine di lunghezza: terzo, quarto e secondo). Sotto ai piedi vi sono gli alloggiamenti per inserire i perni metallici che incastrano il modello alla base: suggerisco di inserire prima i perni nei piedi e poi i piedi nella base. I perni si possono rimuovere senza fatica se si desidera imballare nuovamente il modello o esporlo senza base. Dettaglio davvero degno di nota è che i piedi hanno le giuste dimensioni e non sono minimamente sovradimensionati per aiutare la stabilità: davvero notevole se si considera che, per teropodi di quella taglia, i carcharodontosauridae hanno piedi piuttosto piccoli. Veniamo quindi ora ad uno dei veri miracoli di questa scultura: quando appoggiato su una superficie piana, il Giganotosaurus Vitae si regge perfettamente, anche senza l’ausilio della base. Potrà sembrar cosa da poco, ma ci sono moltissimi modelli che, pur presentando dei piedoni degni di Pippo – in taluni casi davvero ridicoli – sono inevitabilmente destinati a cadere. Un plauso all’abilità scultoria di Cheung Chung Tat.

Il modello presenta tre punti di articolazione: la mandibola ed entrambi gli arti anteriori. La mandibola si apre fino a circa 30 gradi, ma è impossibile da chiudere completamente (come, ad esempio, nel Tyrannosaurus standing Papo), restando permanentemente socchiusa (come, ad esempio, nello Spinosaurus Papo). Per quanto riguarda l’articolazione della mandibola – al pari di Collecta – Vitae ha bisogno di affinarsi in questo particolare campo. Gli arti anteriori ruotano alla spalla, tuttavia – dato il modo in cui sono scolpiti – se allontanati eccessivamente dalla posizione neutrale possono dare un’impressione poco naturale. La qualità della colorazione è decisamente buona, tuttavia consiglio di prestare attenzione nel maneggiare il modello perché può facilmente venir danneggiata da urti o sfregamento (d’altronde, questo non è un giocattolo).

Il Giganotosaurus Vitae è alto 16 cm e lungo 38, ed è presentato in scala 1/35. Se confrontato però a modelli in scala 1/35, si ha un distinto flashback di Dino Crisis 2, dove Giganotosaurus è un mostro da venti e passa metri. Basandosi sulla barra metrica, il cranio dello skeletal di Hartman usato come base misurerebbe 156 cm. Il cranio del modello Vitae misura 6 cm, risultando in una scala 1:26.

La base misura 28x14x16 cm e, a differenza del teropode, è realizzata in resina. Due terzi circa della sua superficie rappresentano le sponde asciutte di un corso d’acqua (la versione Deluxe invece presenta una base più rigogliosa), mentre la restante parte consiste nella porzione sommersa della spiaggia. Il livello di scultura è stupefacente: oltre ad un ramo caduto, sulla parte emersa vi sono piccoli avvallamenti riempiti di sedimento franato, mentre sotto la superficie della resina che rappresenta l’acqua sono presenti rami e resti vegetali. Due impronte indicano i punti dove si inseriscono le zampe di Giganotosaurus. Al contrario del resto della base, il tronco è realizzato in plastica. Si appoggia – senza incastrarsi – in un apposito alloggiamento, all’interno del quale suggerisco di riporre i perni qualora si decidesse di non utilizzarli. Non essendo incastrato, è sufficiente sollevarlo qualora si decidesse di smontare la base. La base è pesante, rendendo quasi impossibile che cada per una spinta accidentale. Per evitare di graffiare il ripiano d’appoggio, la base è rivestita di un tessuto vellutato nero, su cui sono stampati in chiaro la sagoma del Giganotosaurus, il nome della specie in caratteri latini e (presumibilmente) cinesi e il logo di Vitae.

Tirando le somme, quello Vitae è probabilmente il Giganotosaurus più accurato disponibile in commercio. La base lo impreziosisce, elevandolo dal rango di giocattolo in cui si ritrovano accomunati modelli da pochi soldi e da decine di euro e conferendogli un’aria di professionalità. Acquistandolo, ci si ritrova in mano non solo un’opera di uno dei più celebri paleoartisti contemporanei (autore, ricordo, di numerose illustrazioni scientifiche, come quella che accompagnava l’annuncio dello scansoripterygidae Ambopteryx), ma anche un oggetto di pregio che non sfigura sulla mensola o l’ufficio di un naturalista.

Bibliografia

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Canale, J. I.; Novas, F. E.; Pol, D. (2014) Osteology and phylogenetic relationships of Tyrannotitan chubutensis Novas, de Valais, Vickers-Rich and Rich, 2005 (Theropoda: Carcharodontosauridae) from the Lower Cretaceous of Patagonia, Argentina. Historical Biology 27 (1): 1–32.

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www.deviantart.com/drscotthartman/art/Big-honkin-theropod-of-the-southern-hemisphere-302541476

www.deviantart.com/franoys/art/Giganotosaurus-carolinii-skeletal-diagram-645266194

www.skeletaldrawing.com/home/mass-estimates-north-vs-south-redux772013

www.theropoddatabase.com/Carnosauria.htm#Giganotosauruscarolinii

theropoda.blogspot.com/2009/04/miti-e-leggende-post-moderne-sui_10.html

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