Descritto dal celebre paleontologo americano O.C. Marsh nel 1871, Pteranodon è sicuramente il più famoso tra gli pterosauri. La cresta sulla nuca lo rende immediatamente riconoscibile, e – oltre che nei testi divulgativi – è una presenza costante in qualsiasi opera abbia a che fare con la preistoria. Spesso appare nel ruolo del mostro volante che ghermisce con gli artigli la sfortunata vittima per portarla al suo nido e non di rado è ricostruito come un mix di altri pterosauri, presentando i denti pronunciati e la coda a losanga del suo lontano parente giurassico Rhamphorhynchus. La popolarità di Pteranodon gli ha garantito una riproduzione dalla stragrande maggioranza dei Brand; tuttavia, ad una simile abbondanza di modelli non si accompagna un equivalente rigore scientifico, e spesso l’animale ricostruito – pur se riconoscibile come Pteranodon per via delle sue inconfondibili caratteristiche – per il resto lo ricorda solo vagamente… Un vero peccato, dato che abbiamo moltissimi dati su questo genere, provenienti da centinaia di esemplari. Nel 2021 Collecta ha proposto questo impressionante modello nella sua linea Deluxe. Andiamo a vedere come se l’è cavata.

“Wow!” è sicuramente il primo pensiero che passa per la testa nel trovarsi davanti lo Pteranodon Collecta: con un altezza di 20 cm, probabilmente torreggerà su parecchie collezioni, anche perché non sono molti gli pterosauri in questa scala. Anche io, lo ammetto, dalle prime foto ho pensato di aver davanti il modello di Pteranodon definitivo.
Dalla punta del becco a quella della cresta nucale, il cranio misura 28 impressionanti centimetri, rendendo il modello in scala 1:6,5 se scalato alle dimensioni di USNM 50130, il più grande esemplare conosciuto di Pteranodon. Altri esemplari risulterebbero in una scala maggiore. Chi non è avvezzo all’anatomia di questi animali probabilmente rimarrà stupito a constatare quanto sproporzionato appaia il capo rispetto al corpo (diverse volte la sua lunghezza, anche senza includere la cresta nucale), ma sì, le proporzioni sono corrette. Sì, gli pterosauri erano bestie strane.

La tassonomia di Pteranodon non è semplice, ma ai fini di questa recensione seguiremo Witton, ossia l’ipotesi più semplice: che esistano soltanto due specie, P. longiceps e P. sternbergi (da alcuni classificato in un genere a sé, Geosternbergia). La forma della cresta identifica senza ombra di dubbio il modello Collecta come P. longiceps (P. sternbergi l’aveva a forma di losanga) e, in più, possiamo affermare che la ricostruzione rappresenta un maschio: Pteranodon è infatti uno dei pochi animali mesozoici in cui è stato possibile determinare il sesso. Il genere presentava uno spiccato dimorfismo sessuale, con i maschi che presentavano una cresta molto più voluminosa e un bacino più stretto. L’inverso accade per le femmine. Sullo scopo della cresta di Pteranodon si sono spese molte parole senza che, fino ad oggi, sia stato trovato un accordo; tuttavia, la sua fondamentale inutilità in termini aerodinamici e il fatto che fosse notevolmente più pronunciata nei maschi poterebbe a supporre una funzione di display.

Il cranio del modello Collecta è glabro, ma presenta notevoli rugosità, come a lasciare intendere una copertura cheratinosa. Sicuramente d’effetto, ma aggiungendo la cheratina è poco probabile che questi solchi sarebbero stati visibili esternamente; becco e cresta di Pteranodon probabilmente erano lisci, come negli attuali uccelli marini. Senza dubbio, però, questa texture così rugosa contribuisce a caratterizzare il modello, come anche alcune piccole indentature nella cresta che lasciano presupporre un qualche genere di danno: spesso dimentichiamo che questi animali erano creature viventi, e che le creature viventi raramente sono esenti da difetti. La narice è nella posizione corretta, piuttosto vicino all’occhio. La mandibola, come in molti animali della serie Collecta Deluxe, è articolata: può spalancarsi fino ad un massimo di 30° circa, quindi non moltissimo, ma fa il suo degno lavoro. Una caratteristica di Pteranodon, fedelmente riportata, è il fatto che la mandibola è visibilmente più corta della mascella. Il becco, al contrario di quello che ci mostra Jurassic Park, si curva verso l’alto. Sotto la gola è presente un gozzo di pelle rossa. Non abbiamo correlati di tegumento per Pteranodon, ma – data l’abbondanza di strutture simili negli uccelli che occupano oggi nicchie simili a quelle dello pterosauro – la sua presenza è una piacevole supposizione. Pteranodon è ritenuto essere un tuffatore, un po’ come le moderne sule, quindi avere qualche caratteristica da pellicano non stona (Bennet, 1994). Il collo è robusto, come dovrebbe essere: spesso gli pterosauri sono rappresentati con colli sottili, da uccello, ma i siti di ancoraggio dei muscoli lasciano invece intendere che avessero una massa sostanziale.

Dall’area orbitale fino alla punta della coda, lo Pteranodon Collecta è coperto da un fitto piumino. La presenza di tegumento del genere negli pterosauri è accettata dalla scoperta di Sordes e finora – se si eccettua per alcuni fossili sulla cui interpretazione non tutti concordano – nessun fossile di rettile volante ha presentato un tegumento squamoso, com’erano rappresentati comunemente nel secolo scorso. Le picnofibre – questo è il nome esatto – sono scolpite finemente ed evidenziate da una lavatura bianca che penetra tra una ciocca e l’altra: forse vuole rappresentare il sale cristallizzato rimasto sul piumino una volta che lo Pteranodon si è tuffato in mare? Particolare davvero notevole e uno dei dettagli che mi hanno attirato in questo modello è la presenza di un ciuffo alla fine della coda. Può apparire agli occhi di molti una novità o una speculazione priva di fondamento, ma sappiamo invece che le vertebre della coda presentano delle terminazioni simili a bacchette, dalla funzione sconosciuta: tuttavia, essendo la coda di Pteranodon insolitamente lunga per uno pterodattiloideo, è possibile che avesse una qualche funzione (Display? timone?), quindi il ciuffo piumoso non è da escludere.

Veniamo ora ad uno dei punti critici di questo modello: le ali. Iniziamo dai lati positivi: la lunghezza è appropriata: Pteranodon, un volatore oceanico, aveva ali enormi, con circa le stesse proporzioni di un albatro e, nonostante probabilmente sfruttasse le correnti esattamente come un albatro, era capace di generare una spinta attiva – al contrario di quanto si credeva nel secolo scorso. Un altro aspetto positivo è che sia il propatagio (la membrana tra il polso e la spalla) sia il brachipatagio (la membrana tra gli arti posteriori, che si attacca alla caviglia) sono presenti; inoltre l’uropatagio è vestigiale e lascia la coda libera. Purtroppo, le zampe scheletriche spiccano fin troppo rispetto alla membrana alare, ricordando le ricostruzioni del secolo scorso. Negli ultimi anni è emerso come le ali degli pterosauri erano organi complessi – molto più complessi delle ali dei pipistrelli – costituite da tre strati distinti: una rete di vasi sanguigni, uno strato di muscoli e connettivo e infine le actinofibrille, un’invenzione degli pterosauri che si irraggiava dall’osso verso l’esterno, rendendo la membrana flessibile in corrispondenza del braccio ma più rigida nell’area distale. Nell’ala si estendevano parzialmente anche i sacchi aerei, che costituivano un’estensione del sistema respiratorio dell’animale. Con questi dettagli in mente, lo stacco tra l’arto e la membrana dovrebbe essere molto più sfumato; il Collecta ricorda piuttosto le ali di un pipistrello, e aver evidenziato il braccio e il quarto dito con un giallo brillante non aiuta. In più, tenendo conto di come la mano, con la sua muscolatura e i sacchi aerei, costituisse una parte sostanziale dell’ala e non solo un supporto su cui tendere una membrana di pelle, non avrebbe guastato coprire la superficie delle medesima picnofibre che rivestono il corpo, come si vede in molte ricostruzioni recenti.

Oltre al quarto dito che sostiene l’ala, Pteranodon presenta tre dita nella mano (che avevano perso contatto con il carpo) e quattro nel piede. Purtroppo, non sono la parte migliore del modello: fortunatamente non si tratta di un dettaglio prominente, quindi è abbastanza facile nasconderle, ma ad un esame neanche troppo attento si nota una certa rozzezza nella scultura che contrasta con i dettagli fini presenti, ad esempio, sul capo. Le zampe potrebbero appartenere a qualsiasi dinosauro uscito da una busta di plastica, ed è un vero peccato, perché in passato Collecta si è mostrata capace di sculture di fino. Guardandole, non riesco a fare a meno di pensare ad un modello digitale che è stato ingrandito senza tener conto della perdita di dettaglio che sarebbe conseguita.

In definitiva, lo Pteranodon Collecta costituisce sicuramente un acquisto obbligato per chi desidera uno Pteranodon accurato in scala con i Beasts of the Mesozoic o personaggi umani (1:6 è una scala popolare per le action figures, es. Hot Toys). Anche acquirenti che non vogliono uno Pteranodon uscito da Jurassic Park e sono disposti a non cercare troppo il pelo nell’uovo potrebbero essere interessati, soprattutto per la figura che farebbe sulle loro mensole. Certo non posso fare a meno di pensare che sia un gran peccato, sarebbe bastato poco per renderlo uno dei modelli definitivi di questo pterosauro.

Bibliografia
Bennett S.C. (1994) The Pterosaurs of the Niobrara Chalk. The Earth Scientist. 11 (1): 22–25
Witton M. (2013) Pterosaurs: Natural History, Evolution, Anatomy. Princeton University Press. 336 pp
deviantart.com/randomdinos/art/Pteranodon-longiceps-skeletal-reconstruction-853211770
In più si ringrazia Joschua Knüppe per la preziosa consulenza in materia di cheratina.