DEINOCHEIRUS (PNSO, 2022)

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Per quasi quarant’anni, Deinocheirus è rimasto un enigma. Nel 1965 una spedizione russa portò alla luce ad Altan Ula III gli arti anteriori di un teropode, completi di cinto pettorale. Lunghi due metri e mezzo, erano i più grandi scoperti fino a quel momento. Nessun altro fossile, ad eccezione di parte delle vertebre e delle costole, ma sufficienti a guadagnargli il nome di Deinocheirus mirificus (“straordinaria, terribile mano”) con cui venne descritto nel 1970 dalle paleontologhe polacche Osmólska e Roniewicz. Le ricostruzioni popolari l’hanno spesso reso un “carnosauro” fuori misura, ma in realtà la sua somiglianza con gli Ornithomimosauria venne notata subito. Per quarant’anni, quindi, la ricostruzione più plausibile di Deinocheirus era un ornitomimosauro gigante, spesso una versione fuori scala di Gallimimus (anch’esso della formazione Nemegt).

Nel 2014, dopo una travagliata storia comprendente l’inseguimento di alcuni dei fossili – scavati illegalmente – attorno al mondo, finalmente sono stati pubblicati (Lee et al. 2014) due nuovi esemplari che, assieme, permettono di farsi un’idea piuttosto chiara dell’aspetto di Deinocheirus . E che aspetto bizzarro aveva! Lungi dall’essere solo un Gallimimus ingrandito, Deinocheirus si è rivelato essere uno strano incrocio tra un teropode, un’anatra e un cammello.

Con una forma così inusuale per un teropode, Deinocheirus è immediatamente salito alla ribalta e gli arti anteriori, che tanta meraviglia avevano suscitato nei paleontologi, passano quasi in secondo piano, come si può notare nel modello PNSO. Chiusi verso il torace, di profilo di artigli sembrano quasi nascosti, ma basta girare il modello frontalmente per renderci conto che – Therizinosauridae a parte – Deinocheirus rimane uno dei teropodi dagli artigli più grandi conosciuti. Quelli degli arti posteriori, invece, non hanno molto di terribile, piccoli e smussati come sono. Ma gli artigli del piede di Deinocheirus erano realmente così, più simili a quelli degli adrosauri che non agli altri teropodi. Da notare come l’arto posteriore presenta solo tre dita: non è un errore ma un tratto comune ad altri ornitomimosauri, probabilmente un adattamento alla corsa – negli animali corridori c’è la tendenza a semplificare gli elementi terminali dell’arto – anche se Deinocheirus ha imboccato tutt’altra strada.

La testa piatta del Deinocheirus PNSO svetta sopra la maggior parte degli altri teropodi di questo brand. Nonostante misuri all’incirca quanto Acrocanthosaurus, il collo lungo e la gobba sul dorso lo fanno sembrare nettamente più grande. Il cranio di Deinocheirus è unico tra i teropodi: oltre ad essere basso e allungato, verso la punta si allarga a formare una spatola – o, se vogliamo, un “becco ad anatra” vagamente simile a quello di certi adrosauri. Questa caratteristica non è così marcata nel modello PNSO, probabilmente perché lo scultore ha deciso di rivestire le ossa di una copertura cheratinosa (in parole povere, un becco come quello degli uccelli moderni) che ne altera la forma. Per la stessa ragione, il modello presenta un rostro curvo verso il basso mentre nel fossile è dritto: una morfologia simile si ha però anche negli adrosauri, che alcuni fossili eccezionalmente ben conservati (come una mummia esposta al Natural History Museum di Los Angeles Country) hanno mostrato avere il nucleo osseo del becco coperto da un rivestimento corneo, quindi è possibile che fosse così anche per Deinocheirus. Invece ben evidente è un altro tratto tipico di questo animale, una mandibola più alta del resto del cranio, quasi un mascellone da Tyrannosaurus più che da Ornithomimus. Sebbene non siano evidentissime, in quanto non sottolineate dal colore, sul lato superiore del becco a spatola troviamo le narici, dove sono nel fossile. Il becco si spalanca ad un angolo notevole – e questo è congruente con alcuni tratti del cranio – e sul palato troviamo le aperture delle coane a cui ci ha abituato PNSO. Gli occhi sono appropriatamente piccoli: su un cranio lungo un metro, l’anello sclerotico (una struttura presente anche negli uccelli attuali e che serve a sostenere l’occhio) è conservato nel fossile e ha un diametro di soli 8,5 cm. Nei rettili attuali, misura circa 3/4 dell’occhio (Carpenter, 2016).

L’intero cranio è coperto da una vernice lucida che di solito PNSO utilizza per indicare la cheratina, mentre alcune rugosità sotto gli occhi, nella mandibola, suggeriscono il passaggio alla pelle nuda. Pelle nuda – e non squame, per la prima volta in un teropode PNSO – è presente anche sul collo, ad eccezione di una piccola area attorno alla sommità delle spine neurali, sul lato inferiore del corpo al di sotto del fianco e di metà coscia e sulla faccia interna degli arti anteriori. La distribuzione del piumaggio prevalentemente sul lato dorsale del modello è basata su un fossile eccezionalmente ben conservato di Ornithomimus (van der Reest et al. 2015), che mostra una copertura di questo tipo. Desunta da questo fossile è anche la plica di pelle che congiunge l’arto posteriore al corpo. La pelle è resa con estrema attenzione: le pieghe seguono il movimento dell’animale, facendosi più fitte in prossimità delle articolazioni e dove il collo curva, e assieme al piumaggio rendono il Deinocheirus probabilmente il PNSO scolpito con maggiore maestria.

Il resto del corpo del Deinocheirus PNSO è coperto da un folto piumaggio, che sembrerebbe composto da piume filamentose e non penne vere e proprie, nello stile del precedente Yutyrannus. Il piumaggio altera leggermente i contorni dell’animale, ma non abbastanza per non notare che il Deinocheirus si fa più sottile in corrispondenza delle spine neurali e più largo sul torace: una “gobba” da camaleonte, più che da cammello. Ciò che impressiona del modo in cui sono scolpite le piume è che non sono rigide sull’animale come una corazza a scaglie, ma ricadono seguendo il loro peso, un dettaglio particolarmente evidente ai lati delle spine neurali. Prima ho scritto che il piumaggio non raggiunge il lato inferiore, ma si tratta di una semplificazione: per essere esatti, il modello presenta un collare di piume attorno alla base del collo, che si estende in due file parallele di piume (separate al centro e ai lati da pelle nuda) fino alle ossa del bacino. Una scelta stilistica sicuramente originale, anche se priva di base scientifica.

Sugli arti anteriori, infine, le piume si trasformano in vere e proprie penne, grandi abbastanza per distinguere che sono dotate di una rachide centrale come quelle delle ali degli uccelli di oggi (o dei Paraviani del mesozoico). Due esemplari di Ornithomimus, infatti, mostrano tracce sugli arti anteriori che sono stati interpretati nelle rispettive pubblicazioni come l’inserzione dei calami (Zelenitsky et al. 2012). Va detto che alcuni autori ritengono non ci sia sufficiente evidenza per questa interpretazione e che rappresentare gli ornitomimosauri con penne secondarie è probabilmente eccessivamente speculativo.

Le penne complesse si ritrovano alla fine della coda, e qui sono supportate dalla presenza di due vertebre fuse, una condizione che ricorda il pigostilo di altri dinosauri e degli uccelli e che in molte forme sostiene un ventaglio di penne. È da sottolineare, però, che vertebre fuse si riscontrano anche in altri animali che quasi certamente non avevano strutture del genere (es. Beipiaosaurus, Liao et al 2021) e possono anche avere un’origine patologica, mentre un ventaglio di penne non dev’essere necessariamente sostenuto da un pigostilo (es. Microraptor). È più sicuro, dunque, definire anche queste penne caudali come speculative, come non c’è prova nei fossili degli scuti che ricoprono il dorso delle dita degli arti anteriori.

La colorazione è sicuramente tra le più complesse – se non la più complessa – tra i modelli PNSO in PVC: basta guardare come il grigio ardesia delle fasce sulla coda sfuma nel blu delle strisce sul ventaglio, o come il colore principale del corpo si trasforma in bande sulla coda. La tinta scelta per gli occhi ricorda alcuni uccelli terricoli attuali e contribuisce a conferire realismo al modello. Tutto questo ha un costo: la colorazione tanto complessa è estremamente delicata, più della pittura degli altri PNSO, quindi si suggerisce cautela nel maneggiarlo e l’uso dello stand incluso nella confezione per evitare che cada.

In conclusione, il Deinocheirus PNSO rappresenta sicuramente uno dei modelli più interessanti di questo brand cinese, e un esemplare di spicco per qualsiasi collezione.

Bibliografia:

Carpenter, K. (2016) Acrocanthosaurus inside and out. University of Oklahoma Press, 137 pp

Lee Y.N., Barsbold R., Currie P., Kobayashi Y., Lee H.J., Godefroit P., Escuillié F, Chinzorig T. (2014) Resolving the long-standing enigmas of a giant ornithomimosaur Deinocheirus mirificus. Nature 515, 257–260 https://doi.org/10.1038/nature13874

Liao C.C., Zanno L.E., Wang S., Xu X. (2021) Postcranial osteology of Beipiaosaurus inexpectus (Theropoda: Therizinosauria). PLoS One. 2021 Sep 30;16(9):e0257913. doi: 10.1371/journal.pone.0257913.

Osmolska H., Roniewicz E. (1970) Deinocheiridae, a new family of theropod dinosaurs. Palaeontologica Polonica. 21, 5-19.

van der Reest A.J., Wolfe A.P., Currie P.J. (2015) A densely feathered ornithomimid (Dinosauria: Theropoda) from the Upper Cretaceous Dinosaur Park Formation, Alberta, Canada Cretaceous Research 58: 108–117.

Zelenitsky D.K., Therrien F., Erickson G.M., DeBuhr C.L., Kobayashi Y., Eberth D.A., Hadfield F. (2012) Feathered Non-Avian Dinosaurs from North America Provide Insight into Wing Origins. Science 338(6106): 510-514.

Si desidera ringraziare gli utenti Randomdinos, Justin e SpinoInWonderland su Discord per la consulenza nella stesura di questo articolo.

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